L’origine etrusca della città tra fonti storiche e rinvenimenti archeologici.
Alla fine del VI secolo a.C. gli Etruschi colonizzarono la Campania.
Allo scopo di contenere l’espansione greca, questa popolazione Italica fondò una serie di insediamenti abitativi, dando vita alla “dodecapoli etrusca”, ovvero un sistema difensivo costituto da dodici città basato sullo stesso modello già realizzato nell’Etruria Settentrionale. In questo contesto venne fondata anche Nuvkrinum, letteralmente “Nuova rocca”, ovvero il nucleo primordiale della futura Nocera Superiore.
La nuova rocca sorse in un terra assai fertile, ricca di pietra calcarea e tufo grigio, circondata da due catene montuose, i monti Lattari e quelli Picentini, occupando, dunque, una posizione strategica che le consentì il controllo delle principali arterie commerciali tra Salerno e Napoli.
Durante alcuni scavi sono state rinvenute delle iscrizioni in un alfabeto, basato su quello greco e quello etrusco, poi denominato alfabeto nocerino poiché la prima attestazione è stata ritrovata nella necropoli di Pizzone, in località Pareti, uno dei quartieri dell’attuale Nocera Superiore, al tempo città etrusca ed in seguito greca.
Dalla dominazione greca allo splendore in epoca romana, passando per la dominazione italica dei Sanniti.
Successivamente alla disfatta di Cuma del 474 a.C., gli Etruschi persero il controllo della Campania e la città passò in mano greca, cambiando nome in Νουκερία. Il secolo successivo vide l’arrivo dei Sanniti, popolazione italica che progressivamente aveva occupato tutta la Campania Settentrionale, il Molise e l’Abruzzo, l’Alta Puglia con l’area Nord della Basilicata, ed il Basso Lazio.
Con l’occupazione sannitica di Capua del 343 a.C., Νουκερία divenne Nuvkrinum Alfaternum, dal nome della tribù sannitica che la abitava, gli Alfaterni, e venne posta a guida della Confederazione Sannitica Meridionale: una lega militare sorta durante le Guerre Sannitiche, di cui fecero parte anche Pompei, Ercolano, Stabia e Sorrento.
Costretta alla resa da Roma nel 308 a.C., Nuvkrinum Alfaternum cambiò definitivamente in Nuceria Alfaterna. Scongiurato ogni pericolo di espansione straniera, ebbe inizio un periodo di sviluppo economico, sociale e culturale segnato dalla fedeltà dei nocerini ai romani.
Divenuta una delle città più floride e potenti della Campania, Nuceria Alfaterna fu a lungo lo snodo di fondamentali vie commerciali quali la via Stabiana verso Stabia, la via Nuceria da Pompei, e la Via Popilia tra Capua e Reggio Calabria. Durante la seconda Guerra Punica, nel 216 a.C., Annibale rase al suolo la città, colpevole della sua ostinata fedeltà a Roma; tuttavia, a guerra finita, il Senato romano deliberò la ricostruzione di Nuceria.
La città romana fu progettata in grande stile. Venne eretto un anfiteatro, un teatro con un diametro di 96 m, che lo rendeva il più grande del territorio circostante ed un foro, l’epicentro commerciale e sociale della vita cittadina. Basti pensare che lo splendore raggiunto dai nocerini venne testimoniato all’epoca da Cicerone, nel “De Lege Agraria”.
Nuceria verso il declino, gli ultimi fasti dell’età imperiale e l’avvento del cristianesimo.
Assunto il rango superiore di “municipium” , nel 42 a.C., la città venne denominata Nuceria Constantia. Interessata anch’essa parzialmente dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., in particolar modo da cenere e lapilli, la fertilità del suolo si ridusse e la scomparsa del porto pompeiano incise pesantemente sul commercio.
A partire dal II secolo d.C. il cristianesimo prese piede tra i nocerini a tal punto, che Nuceria fu sede vescovile già dal III secolo d.C. . Il primo vescovo fu San Prisco, le cui reliquie sono attualmente custodite presso la Basilica Cattedrale a lui dedicata, nel quartiere Vescovado di Nocera Inferiore.
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. e la crisi sorta durante la Guerra Greco-Gotica del 535-553 d.C. , l’antica Nuceria subì una battuta d’arresto notevole. I monumenti del centro antico, ormai in disuso, furono smantellati e su una parte dell’antico foro romano, venne edificato il Battistero di S. Maria Maggiore. Il colpo di grazia alla città antica fu inferto dalle invasioni longobarde che, a partire dall’anno 568 d.C., interessarono sia il Nord che il Sud Italia. La progressiva conquista longobarda dell’ Agro nocerino, decretò il definitivo svuotamento della città e lo spostamento degli abitanti in zone più sicure e difendibili. Mentre parte della popolazione si mosse verso la Costiera Amalfitana, l’altra parte si concentrò alle pendici della Collina del Parco.
La prima attestazione sulla nascita del Castello e lo sviluppo dell’insediamento longobardo.
Nel Codice Diplomatico Cavese (Codex Diplomaticus Cavensis) ritroviamo una frase datata al 984 d.C. : firmitate noba nucerina de ipsum monticellum. Ciò indica la presenza di un insediamento abitativo (firmitate da firmitas) fondato dai nocerini (firmitate nucerina) , con un nuovo assetto urbanistico(noba ovvero nuova, ne consegue: nuova città dei nocerini), presso il monticello (de ipsum monticellum), ovvero la Collina del Parco. Secondo le fonti storiche, risulta che l’abitato fosse circondato da mura e che agli inizi dell’ XI° secolo d.C. comprendesse anche un mercato cittadino, oltre che un numero considerevole di strade ed abitazioni.
La presenza di mulini ad acqua nella campagna circostante, come quelli lungo il fiume Saltera cioè l’attuale Solofrana, contribuì allo sviluppo economico e sociale nocerino. Non ci sono evidenze archeologiche che ci testimoniano la conformazione dell’insediamento; tuttavia, è possibile immaginare che questo venne organizzato secondo logiche di costruzione prettamente longobarde, soprattutto per il sistema difensivo di cui si dotò.
L’arrivo dei Normanni, tra lotte intestine ed influenze artistiche: l’unica testimonianza pittorica del Castello.
All’inizio dell’XI° secolo d.C. anche nel territorio nocerino giunsero i primi cavalieri normanni, il cui scopo, inizialmente, fu quello di aiutare i principi longobardi di Salerno a difendersi dalle scorrerie dei Saraceni. Le esigenze di rafforzare le difese del principato di Salerno indussero i Longobardi ad assegnare i territori tra Nocera e Pagani alle famiglie normanne dei Filangieri e dei Pagano, che assunsero pertanto il controllo del territorio dividendosi tra il castello di Corteinpiano, attuale Pagani, e quello del Parco. L’abile ascesa al potere di Normanni pose lentamente fine alla presenza longobarda e consolidò la loro posizione nel territorio, influenzando in diversi modi l’arte e l’architettura del periodo a cavallo tra l’inizio dell’XI° secolo e la fine del XIII° secolo d.C. .
Al periodo normanno sono databili i resti di un ciclo pittorico conservato all’interno dell’abside di una struttura religiosa inglobata successivamente dalla costruzione della Torre Mastio. La parete palinsesto presenta tre strati affrescati, e probabilmente faceva parte della cappella palatina di S. Leone, citata in diversi documenti sia di epoca Normanno-Sveva che Angioina. I resti visibili, di recente interessati da un importante intervento di consolidamento e pulitura, rappresentano i santi Giovanni, Andrea e Pietro inquadrati da fasce di color rosso e che, per stile e composizione, si attribuiscono alle medesime maestranze che operarono a S. Angelo in Formis. Al Castello, quindi, esiste un’importante testimonianza pittorica relativa allo stile beneventano-cassinese. I rapporti tra Giordano I Drengot, principe capuano parente del Guiscardo, avente anche il controllo di Nocera, e l’abate Desiderio si riscontrano pertanto, anche in queste importanti tracce pittoriche. Gli affreschi del Castello vengono datati agli inizi dell’ XI° secolo d.C., proprio quando Giordano I Drengot fu signore di Nocera e l’abate Desiderio commissionò il rifacimento della chiesa cattedrale di S. Angelo in Formis, a Capua. Al momento sono in corso ulteriori studi per cercare di comprendere e ricostruire le varie fasi di questa importante testimonianza pittorica e mettere chiarezza nel rapporto che intercorreva tra la struttura religiosa ed il mastio del Castello. Nel 1132 il castello subì un importante assedio da parte del re Ruggiero di Altavilla in lotta contro le truppe ribelli del conte Rainulfo. Nonostante un’eroica resistenza, nel 1134 l’Altavilla ebbe la meglio, prendendo la fortezza e, secondo le fonti, radendola al suolo.
Lo “Stupor Mundi” Federico II di Svevia, affida per la prima volta il Castello rendendolo un avamposto militare all’avanguardia.
Con l’avvento del periodo normanno-svevo e la rivoluzione politica di Federico II di Svevia il Castello del Parco venne affidato dapprima ad Ottone di Barchister e poi al fidato Riccardo Filangieri. Egli, già falconiere reale, maresciallo e supremo comandante di guerra, ebbe in feudo Nocera in quanto premio per i servigi prestati all’imperatore in Terrasanta. Proprio in questo periodo è databile la Torre Mastio pentagonale, il cuore della fortificazione nocerina. Eretta nel punto più alto della collina direttamente sul banco roccioso, venne munita molto probabilmente di un accesso mobile al piano rialzato, secondo una consuetudine costruttiva tramandata dall’epoca normanna. La forma della torre non è casuale, bensì risponde a precise esigenze difensive allo scopo di resistere maggiormente ai colpi di trabucchi e catapulte. Il mastio era a sua volta dotato di una cortina difensiva.
Il XIV secolo fu duro per il Castello, tra lotte cittadine e rivendicazioni al trono di Napoli.
Agli inizi del XIV secolo il Castello fu interessato da attività di manutenzione durante le quali vennero risistemate ed aggiornate le cortine difensive. La forma del castello assunse quindi i connotati di una fortezza circondata da una seconda cinta muraria, che inglobava sul lato Nord il complesso palaziale ed un sistema di mura salienti intervallata da due semi torri circolari a guardia dei versanti Est ed Ovest. Le cortine salienti raggiungevano sul lato Sud il sottostante villaggio del Borgo e si raccordavano ad una terza cinta muraria, che chiudeva la collina sul lato Nord ed il borgo sul lato Sud, protette a sua volta dal fiume Saltera, l’attuale Solofrana, che fungeva a sua volta da ulteriore sistema di difesa.
Nel 1309, Carlo II d’Angiò morì. Carlo Martello d’Angiò, erede al trono, era morto di peste nel 1295, così come la moglie Clemenza d’Asburgo. La corona del regno spettava per successione a Ludovico D’Angiò che però dopo il diaconato rinunciò al trono. Divenne perciò re di Napoli il fratello di Ludovico d’Angiò, Roberto I.
Nuceria, nel 1316, passò nelle mani del figlio del re, Carlo duca di Calabria, e il castello fu donato alle sue mogli: Caterina d’Austria prima, a Maria Valois poi.
Morto Roberto, nel 1343, il Regno di Napoli passò a Giovanna d’Angiò la quale cedette poi la città e il castello al gran siniscalco del regno, il fiorentino Niccolò Acciaiuoli. Fu proprio l’Acciaiuoli che nel 1362 ospitò al castello Giovanni Boccaccio, il quale in una lettera, espresse delusione circa il trattamento ricevuto dal ricco proprietario.
Si racconta che, giunto al castello, il poeta non fu riconosciuto e perciò non ricevette la giusta accoglienza e se ne lamentò. Ma oltre il soggiorno di Boccaccio, verso la metà del XIII secolo, il castello visse l’ennesimo assedio. La regina era stata sospettata dell’assassinio del marito, scatenando la reazione del cognato, Luigi d’Ungheria, il quale invase il regno con l’intento di sottrarlo a Giovanna I e rivendicare il fratello defunto. Seguì una battaglia di cui ne risentì il castello del Parco, assediato ed espugnato dagli Ungari.
Durante gli eventi dello Scisma d’Occidente il castello del Parco divenne protagonista di una delle vicende più importanti del periodo. La regina Giovanna, sostenitrice dell’antipapa Clemente VII giunse allo scontro con il pretendente al trono Carlo III di Durazzo, sostenitore del romano Papa Urbano VI. La scomunica della regina da parte del pontefice romano e l’arrivo del Durazzo, chiamato a Napoli in aiuto dal Pontefice, sancirono la messa in prigionia della regina nel maniero nocerino per poi essere trasferita al castello di Muro Lucano, dove perse la vita il 12 maggio dello stesso anno. Il buon rapporto tra il Durazzo ed il Papa ebbe però breve durata poiché il re non concesse a Francesco Prignano, nipote di Urbano IV, alcuni feudi stabiliti in precedenza. Rifugiatosi al Castello del Parco, in quanto fortezza meglio munita e distante un solo giorno di marcia da Napoli, il Papa riuscì a conquistarsi l’appoggio del popolo, che si diede al saccheggio e all’assassinio di tutti i suoi presunti nemici. La risposta del Durazzo arrivò presto, occupando la città e cingendo d’assedio il castello. L’assedio durò oltre sette mesi, durante i quali il Papa rifiutò qualunque proposta di accordo. Una descrizione dello scenario nel quale si svolge questo lungo assedio ci giunge dallo storico tedesco Teodorico di Nieheim, segretario di papa Urbano VI e presente in quel periodo al Castello. Teodorico ci restituisce uno spaccato della città in epoca basso medievale, composta da case, mulini, molteplici strutture religiose e campagne fertili messe a coltura. La durezza dell’assedio indusse alcuni cardinali ad organizzare una congiura nei confronti del pontefice, al fine di deporlo e metter così termine all’attacco durazzesco. Questi avrebbero attirato il papa nel convento di San Francesco, ai piedi della collina, lì l’avrebbero processato, dichiarato eretico e condannato al rogo, eseguendo immediatamente la sentenza. La congiura ebbe luogo il 13 gennaio 1385, ma fu sventata dal cardinale Tommaso Orsini. Quando i congiurati giunsero al castello, furono arrestati, torturati e poi deposti. Nel frattempo, le truppe di Carlo III di Durazzo riuscirono a superare le prime due cinte murarie e a penetrare la rocca, dove solo il nucleo centrale della fortificazione resisteva ancora. Quando ormai era chiusa ogni via di scampo, sopraggiunsero in aiuto del papa le truppe del conte di Nola, che ruppero l’assedio e portarono in salvo Urbano VI con tutta la corte.
Lo spirito rinascimentale raggiunge il borgo aragonese, l’obsoleta fortificazione angioina diviene residenza di piacere ducale e la Collina, giardino delle meraviglie.
Con l’avvento del dominio Aragonese e l’introduzione della polvere da sparo il Castello perse lentamente l’importanza assunta in epoca precedente, andando lentamente in disuso.
Nel 1521 la città venne acquista da Tiberio Carafa per 50.000 ducati. Durante il periodo dei Carafa, che terminò soltanto nel 1648 il castello e la collina assunsero un ruolo diverso da quello rivestito in precedenza. Il duca Tiberio trasformò parte della collina in un grande parco per la caccia ed utilizzò il castello come residenza ducale. Tale uso perdurò fino alla costruzione da parte di Ferdinando I Carafa del fastoso Palazzo ducale ai piedi della collina, collocato dove oggi sorge la caserma Tofano.
Dopo i Carafa, la città tornò nel regio demanio e il castello, gradualmente abbandonato, andò decadendo.
L’avanguardia amministrativa dei nocerini e la nascita delle due Nocera.
Il XVII° e XVIII° furono secoli assai difficili e funestati da guerre, pestilenze, eruzioni vesuviane, terremoti ed alluvioni, a cui però gli abitanti nocerini seppero sempre reagire con grande vitalità. Il territorio cittadino di Nocera de’ Pagani era ben più ampio di quello attuale e l’estensione della città ne rendeva difficile il governo. Fu perciò elaborato un sistema amministrativo comunale dove ogni casale eleggeva i suoi “sindaci particolari“, che avevano il dovere di eleggere il “sindaco universale” della città. Nel 1806 la riforma amministrativa di Giuseppe Bonaparte spezzò l’unità del territorio e da Nocera de’ Pagani nacquero i Comuni di: Nocera San Matteo, Nocera Corpo, Pagani, Sant’Egidio del Monte Albino e Corbara. Le due Nocera si riunirono solo nel 1834, ma nel 1851 vi fu la scissione definitiva in Nocera Inferiore e Nocera Superiore. Nocera venne divisa per le pressioni di alcuni latifondisti napoletani, che poterono, grazie alle nuove entità comunali, sottrarre delle terre al demanio.
La nascita del complesso Castello del Parco-Palazzo Fienga.
Nel 1840 il Castello venne acquistato dai fratelli Domenico e Francesco De Guidobaldi, baroni provenienti da Nereto, in Abruzzo. Domenico, grande studioso, archeologo, storico e filologo dell’epoca, acquistò il complesso ed avviò la costruzione del Palazzo, ampliato nel secolo successivo.
Gli ultimi decenni dell’ 800 rappresentarono per il maniero nocerino un periodo di grande dinamismo culturale: in particolare, furono rinvenuti molti reperti storici, tra i quali un sigillo, recante il nome di Papa Urbano VI, presso la Torre Mastio. Risale al 1850 la Cappella de Guidobaldi, dedicata a “Nostra Signora di Mater Domini“, edificata dal barone Francesco come ex voto alla Madonna. Altra azione importante da ricondurre ai De Guidobaldi, fu la pulizia dei vari sentieri che dalla collina scendevano fin giù al Borgo.
Dai rifacimenti al palazzo baronale, fino ai giorni nostri.
Il Castello appartenne ai baroni abruzzesi fino alla morte di Domenico, nel 1902, all’età di 91 anni. Nello stesso anno il maniero passò in mano alla famiglia Fienga, imprenditori di origini scafatesi, i quali acquisirono prima gli oliveti ai piedi della collina e successivamente tutto il complesso monumentale. In questo periodo il palazzo venne ampliato, fino a raggiungere la pianta rettangolare che vediamo ancora oggi.
La grande passione per l’archeologia e la storia da parte dei Fienga fece confluire nel salone del Palazzo una collezione costituita da circa 3000 reperti archeologici di epoca classica e medievale, menzionata anche nella famosa guida rossa del Touring Club di quegli anni. Oggi la maggior parte della collezione Fienga è conservata nei depositi della Caserma Tofano, in attesa di essere ricollocata nei loro spazi originari.
A seguito del secondo conflitto mondiale i Fienga caddero in disgrazia economica e furono costretti ad abbandonare il Palazzo.
La lungimirante decisione politica di un sindaco coraggioso che volle salvare la Collina ed il complesso storico dagli avidi palazzinari del ’70.
Nel 1971 l’amministrazione del Comune di Nocera Inferiore, con il sindaco Arcadio Siciliano, acquistò il complesso. Fu in quegli anni che il Palazzo venne dotato dalla merlatura ancora oggi visibile. A cavallo tra la fine degli anni ’90 del secolo scorso e il primo decennio del XXI° secolo, i ruderi soso stati interessati da lavori di messa in sicurezza ed il Palazzo è stato ristrutturato ed arredato, per ospitare gli uffici dell’organizzazione “Patto Territoriale per l’Occupazione dell’Agro Nocerino Sarnese”. Dagli anni ’10 di questo secolo il Palazzo è vuoto nessun ulteriore intervento di restauro o manutenzione è stato eseguito sull’intero complesso.
Il 3 luglio 2014 nasce l’associazione Ridiamo vita al Castello, dal 2016 riconosciuta come Associazione di Promozione Sociale e Culturale. Nel 2021, attraverso il progetto “Salviamo gli Affreschi” con il cofinanziamento del Comune di Nocera Inferiore ed il patrocinio della Fondazione “Cassa di Risparmio Salernitana” l’Associazione riesce nel restauro degli affreschi medievali sotto la Torre Mastio. L’intervento è stato eseguito dall’A.P.S. “YOCOCU”, associazione di esperti del settore con sede a Roma. Nel 2022 Ridiamo vita al Castello raggiunge un traguardo storico, l’affidamento del Complesso e la cogestione delle attività. L’affidamento, vinto grazie al progetto dell’associazione “Nuvkrinum Hub” ha previsto il coinvolgimento di importanti partner, ovvero: Campania Eco Festival A.P.S, Moby Dick A.P.S., Fondazione bancaria “Cassa di Risparmio Salernitana” e l’Ente Autonomo “Giffoni Experience”.